La fibrillazione atriale rappresenta l’aritmia più frequente nelle società occidentali. Si stima che circa il 2% della popolazione italiana sia affetta da fibrillazione atriale. L’invecchiamento progressivo della popolazione fa inoltre stimare che questo numero sia destinato a crescere ulteriormente nel futuro.
Anche la cardiopatia ischemica è una patologia ad alta prevalenza, che diventa sempre più alta man mano che l’età aumenta. Il cardine del trattamento degli eventi acuti è diventato il trattamento interventistico, che nella quasi totalità dei casi comprende l’impianto di uno o più stent coronarici, con la conseguente necessità di una protratta duplice antiaggregazione. Fino a pochi anni fa questi pazienti venivano sottoposti alla cosiddetta “triplice terapia” che comprendeva warfarin, aspirina e clopidogrel.
Questo trattamento, utilizzato in tutto il mondo, ha il suo tallone d’Achille nell’alto rischio di complicanze emorragiche.
Per ovviare questo problema ci si è posti la domanda se l’utilizzo di uno dei nuovi anticoagulanti, che notoriamente hanno un profilo di sicurezza e di efficacia decisamente migliore del warfarin, potesse sostituire il vecchio anticoagulante permettendo inoltre di togliere uno degli antiaggreganti dal cocktail antitrombotico. Lo studio Re-Dual PCI, con i suoi favorevolissimi risultati, rappresenta la risposta a questa domanda. Tuttavia la sua implementazione non è facile ed è francamente un peccato che i benefici associati a questo innovativo approccio al trattamento antitrombotico non vengano trasferiti alla popolazione.
Obiettivo della FAD è diffondere in modo sistematico l’epidemiologia dell’associazione tra fibrillazione atriale e sindromi coronariche acute; approfondire la farmacologia dei farmaci antitrombotici; diffondere i risultati degli studi che supportano il nuovo paradigma di trattamento di questi pazienti; confrontare i risultati degli studi con quanto attualmente indicato nelle vigenti Linee Guida.