La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie respiratorie, è solitamente progressiva e associata ad uno stato di infiammazione cronica e a una diminuzione del flusso respiratorio, risultanti dalla combinazione di lesioni diverse e variabili per sede, tipo, gravità o estensione.
La causa principale è il tabagismo, seguito dall’esposizione ad agenti inquinanti e dall’inalazione di sostanze nocive. In Italia si stimano 4.400.000 pazienti affetti da BPCO, di cui il 61% non correttamente diagnosticati o non adeguatamente trattati, e si prevede che nel 2020 la BPCO rappresenterà la 3° causa di morte nel mondo.
La terapia inalatoria è uno dei più antichi approcci terapeutici per la cura delle malattie delle vie aeree. Il vantaggio indubbio è quello di far agire direttamente il farmaco sull’organo bersaglio, evitando il ricorso alla somministrazione per via sistemica e ottenendo gli stessi effetti terapeutici con dosaggi minori. L’intento di produrre vapore o aerosol per il trattamento delle patologie polmonari risale alla storia più antica della medicina.
Il termine “nebulizzazione” è stato usato per la prima volta nel 1872 e nel 1874 viene data la seguente definizione di nebulizzatore: “uno strumento per trasformare un liquido in uno spray fine, con finalità principalmente terapeutiche”.
Tuttavia è solo nel XX secolo che si è verifica la svolta storica per la cura delle malattie respiratorie, con l’utilizzo dei broncodilatatori per via aerosolica nel 1935 e con l'introduzione in commercio nel 1956 della prima bomboletta spray. Nel 1956 fu infatti progettato il primo Inalatore Pressurizzato Predosato (pMDI) che ha rappresentato una rivoluzione nella terapia aerosolica dando il via a studi scientifici e a sviluppi tecnologici di enorme importanza.